GENTILANIMO - GENTILEZZA E INTUIZIONE VANNO AL LAVORO, A BRACCETTO

ABSTRACT

Often people say directly what they think motivated by the intention to clarify. Some appreciate this quality; others can feel their souls like fractured. Nothing broken? You wouldn’t say: the relationship is cracked and who pays the convalescence? The company. There is an intuitive way to get along in life as well as at work: it’s called KINDNESS, more than a word, it’s a bouquet of activating meanings to do good among others. Does cognitive confirmation bias make people always want to be right? When it is the other to have it fully, you might feel diminished by a rustic approach for lack of a mild transition that will evolve while keeping your self-esteem intact. A kind person acts this way: is a mediator who, blurring all the colors of emotions, manages to combine what could be divided by the routinary contrast in the office.

Un vento caldo e silenzioso spira dal cuore del problema: chi sa accettarlo e rispondere con gentilezza è animato da una speranza di farcela che nessun altro possiede. Speranza vuol dire avere respiro: una persona gentile non è nell’angustia delle preoccupazioni perché sa parlare seppur con voce leggera e carezzevole.

Altrimenti, le persone dicono direttamente quello che pensano animate dall’intenzione di fare chiarezza. Alcuni apprezzano questa qualità, è verissimo; anzi, se tutti l’apprezzassero il mondo girerebbe più velocemente e nessuno si fratturerebbe l’anima alla prima risposta genuina come il buon vino. Eppure, non è così, o perlomeno, non sempre perché, purtroppo, il bias cognitivo di conferma porta le persone a voler avere sempre ragione.
Quindi, quando è l’altro ad averla pienamente, ci si potrebbe sentire sminuiti da un approccio rustico per mancanza di una transizione lieve che faccia evolvere mantenendo intatta l’autostima. Perciò stante la funzionalità di ogni comportamento in presenza del contesto opportuno, il gentile è comunque vitale in azienda per mantenere quieti gli animi e traghettare le questioni in porto.

Quali sono le caratteristiche del gentile?
Semplicemente è servizievole perché non ha paura di mostrare sé stesso/a: non deve ostentare una risposta spavalda, una reazione come ci si potrebbe aspettare; piuttosto prende tempo e si dedica alle persone, tenendo d’occhio il problema.
Stiamo parlando forse di un soccorritore? Sì, il gentile è colui che si prende cura dell’intenzione dell’altro anche quando va storta. Gli Antichi dicevano che il peccato equivale a non fare centro, cioè a non portare a compimento la propria intenzione; essi attribuivano questa peculiarità principalmente agli dei, ma anche agli eroi. Chissà perché questi ultimi avevano sempre un mentore, una persona che conosceva così bene sé stessa da non avere reazioni ingestibili di fronte ai fallimenti del proprio discente.
Ecco, sì, gentile è colui che non si preoccupa di essere giudicato perché sa che prima di tutto conta l’esprimersi, il mostrare piano piano ciò che ha dentro per far capire agli altri come agirà. In questo modo, inconsciamente, ispira fiducia e infonde il coraggio di farcela col proprio esempio, mite e rispettoso degli altri. Forse è per questo che spesso si confonde gentilezza con timidezza: ci sta!

Chi è gentile è molto sensibile e quindi per forza anche timido. Quando gli altri sentono le grosse cicatrici, il gentile può percepire anche i graffi sull’anima perché ce l’ha innervata come un reticolo di cristallo che porta tutto il sentire in più direzioni. Tenero di cuore, il gentile? Apparentemente si, ma a voler ben guardare, il suo cuore è elastico… morbido, flessibile, eppur indistruttibile. Nonostante ciò, non fa rimbalzare niente con forza uguale e contraria: il cuor gentile accoglie, pulisce e restituisce con grazia.

Venendo al mondo del lavoro si potrebbe dire che una persona con siffatte caratteristiche possa soffrire di più. Cotone fuori e lana di roccia sulla pelle: l’abitudine del gentile a voler assistere la relazione a tutti i costi può incidere la sua soffice epidermide? Forse no. Si potrebbe dire che la sua dolcezza lo renda comprensivo, prima di tutto verso sé stesso/a e quindi più forte.
Un’antica leggenda orientale racconta come tre alimenti entrano in relazione con l’acqua bollente. Il primo, la carota, dura all’inizio, si presenta moscia dopo la bollitura. Il secondo è l’uovo che da fragile e liquido si indurisce diventando immobile. Il terzo ed ultimo elemento, il tè, invece, cambia l’acqua: rimanendo gentile le regala un colore dorato, un gusto aromatico ed un profumo invitante. Forse è per questo che la bevanda del tè nasce da un vero e proprio rito dove dosi e tempi sono vitali per conservare intatte le proprietà della pregiata foglia, infondendole pienamente nella salutare e corroborante bevanda.
Gentile, perciò, è chi riesce a trasformare mettendosi in relazione con in mente solo il benessere delle persone, sul lavoro come nella vita privata. Un fare molto nobile questo? Sicuramente, la parola si riferisce a un tipo di gente speciale che si differenzia per meriti squisitamente morali. Sembrerebbe che il gene della gentilezza sia tramandato per nascita, ma a guardar bene le maniere gentili può acquisirle chiunque purché sia disposto a diventar grande partendo con umiltà dal piccolo.

Chi è gentile è un gigante fatto e finito... l’etimologia dei due termini è ben la stessa! Porsi rispetto agli altri con un atteggiamento tra il curioso e l’attento, come fanno i bambini che andando dritti al perché scoprono come batte il cuore delle cose, veramente. Non per nulla, essi, sono esseri in divenire, pronti a cambiare idea ad ogni alito di nuova guizzante aspettativa. Così, come diceva il grande psicologo delle organizzazioni Edgar Schein: “la discussione è uno scambio di conoscenze, la disputa uno scambio di ignoranza”: il gentile, aggiungo io, è colui che ha capito questa massima e l’ha fatta sua naturalmente.

Che legame tra Kindness e intuizione?
Veniamo quindi all’intuizione, argomento cardine della mia accurata ricerca. Come può essere correlata alla gentilezza? E poi, come può diventare corale e di supporto all’intera azienda?
Anzitutto, il gentile è colui che conosce più di ogni altro i suoi limiti. Questo è importantissimo per il processo intuitivo. Guardare dentro fa trovar fuori l’invisibile che pur essendo presente non ci fa accorgere di nulla. I mistici medievali credevano nel “Visibilia ex invisibilibus[1], intendendo la capacità di trovare le cose prima che si facessero vedere. Il gentile ha gli occhi del gatto, tanto sensibili alla luce da ferirsi facilmente, ma parimenti capaci di scovare nel buio dell’animo altrui le parole giuste da dire per non inciampare nell’ovvietà del bisticcio a causa della naturale presa di posizione.
Come anticipato in premessa, ogni persona deve affermare a sé stessa che esiste: per farlo necessariamente dichiara giusto il proprio parere e discutibile l’opinione dell’altro. Per discutibile, come diceva il filosofo Emanuele Severino, intendo ciò di cui si può discutere in quanto controvertibile nonché perfettibile secondo la logica di chi parla per primo. È da questo protagonismo nel significato originale del termine, che il gentile si distacca di netto: non è importante avere ragione, quanto essere ragionevole!
Visto dalla prospettiva di Carl Gustav Jung, essere intuitivo significa andar oltre le cose, puntando al loro significato immateriale prima di quello tangibile e gretto. Nella famosa divisione dei quattro tipi psicologici definita dallo psicologo svizzero nel libro dal titolo omonimo, il tipo opposto a quella “intuizione” è rappresentato dalla “sensazione”. I sensi, la materialità delle cose, per Jung, sono agli antipodi rispetto alla capacità intuitiva. Perché? L’anima trascende i sensi formandone uno che è la somma amplificata, il sesto senso appunto, quello che fa prevedere con disarmante precisione ciò che non si vede o è al di là da venire.
Gentile, nella sua origine etimologica inglese “Kind” ha una accezione simile alla parola “dio”[2], ovvero quell’entità che vede e provvede come se il tempo futuro fosse già presente. Nell’antichità questo essere ora per domani era una proprietà del cuore: per gli antichi egizi, infatti, esso si diceva HATI, cioè ciò che sta davanti, letteralmente, nel poi come se fosse l’adesso. Qualcuno potrebbe notare l’assonanza con il nome della dea Hator, padrona del cuore, ma anche dolce forza persuasiva che fa fare cose impossibili.
Ebbene il gentile ha questa capacità, ben raffigurata nei tarocchi tanto cari a Jung. “La forza”, undicesimo arcano secondo la tradizione di Marsiglia è proprio la capacità di essere dolce e al tempo stesso determinato, come descriveva Gandhi nella seguente massima. “Quando la misura e la gentilezza si aggiungono alla forza, quest’ultima diventa irresistibile.” Il gentile lo si può capire bene ballando. Giustappunto è un cavaliere che ha una forte intenzione pur mettendola in pratica dolcemente con la sua dama. Le sue mani danno un impulso chiaro ed univoco che arriva a far risuonare il cuore di lei fino a produrre l’effetto desiderato col movimento di coppia. Subito dopo, sempre le mani, devono essere fluide, flessuose, pronte ad accogliere la risposta per non ostacolare la relazione con la rigidità e la fermezza fine a sé stessa. Il gentile è perciò coerente all’adesso: non gli importa quanto ha detto o fatto, piuttosto è interessato a preservare il movimento, evitando così di interrompere la relazione di scambio.

Il gentile come attivatore di relazioni al lavoro?
Si potrebbe dire di sì. Anche in ambito lavorativo, gentile è chi, dopo essere stato incisivo, si ritira leggermente per lasciare spazio all’altro di esprimersi aggiungendo la propria esperienza alla sua con ferma dolcezza.
Parlando di intuizione viene subito alla mente il gentil sesso: le donne sono per loro natura più inclini a essere fortemente determinate. L’arcano della forza parla chiaro: una donna dotata di virtù tiene a bada la fiera tenendola per la sua parte più pericolosa, ovvero la bocca. La gentilezza femminile sa tener a freno la propria bestia interiore, ovvero l’inconscio, l’ES nella teoria psicoanalitica di Sigmund Freud, per non farlo parlare a sproposito distruggendo il rapporto in formazione reciproca.
Essere gentile vuol dire quindi astenersi dal giudizio? Magari. Personalmente la ritengo una pratica da asceti poco esercitabile nel mondo digitale di oggi che ci chiama ogni giorno ad esprimere il “like” mettendo un bel pollicione sopra ogni cosa. Gentile è colui che esprimendo la propria opinione l’accosta a quella dell’altro sapendo che nessuna è giusta davvero, ma al massimo funzionale a star bene. Non esiste la logica del comportamento per il gentile: l’ethos è avere a cuore i propri valori quanto quelli dell’altro. La cura, prendendo il là dal pensiero di Heidegger, è proprio questo: essere nel prossimo prima ancora che si avvicini.
Agostino d’Ippona, che di intuizione ne aveva scritto più che una chiosa, parlava di “interior intimo meo” per definire quel principio che è in ogni cosa e rende simili tutti: attraverso di esso, secondo lui si poteva conoscere più che con gli occhi. Questo non vuol dire essere introverso. I gentili possono essere anche estroversi pur guardando con visione accecante cosa cela la propria ombra per conoscere quella dell’altro. L’intuito, quindi è come diceva Dante la capacità di entrare dentro gli altri, aggiungo io, in modo gentile, per evitare che si chiudano a riccio esponendo le spine al posto della pancia foriera delle decisioni che contano.
Gentile significa appunto saporito eppur poco piccante, ventoso quanto basta per spinger la vela senza far cappottare la barca. Il gentile è colui che ha integrato l’ombra per arrivare a conoscere il proprio animo fino a ricongiungersi con esso. Il risultato di questo processo è rappresentato dal caduceo di Mercurio, bastone della guarigione, perché simbolo dell’unione di cielo e terra, ovvero Zeus e Hera sotto forma di serpenti avvinghiati sulla verga d’oro della ragione Apollinea.
La guerra è la madre di tutte le cose”, ovvero la cosa è la madre di tutte le guerre diceva il filosofo Eraclito di Efeso. Se ne deduce che il gentile se ne infischi della cosa quando in ballo ci sono le persone… e sul lavoro come nella vita questo si nota!

L’intuizione può generare Kindness nel contesto del lavoro?
Il gentile è ben disposto ai rapporti: come un ciclista rodato, sa quali mettere per affrontare le salite facendo fare meno sforzo a tutto il corpo lavorativo con cui fa squadra. La sua particolarità è quella di puntare ad un IO della “gens”, piuttosto che ad un ego personale! Questa caratteristica è il regalo della sua capacità intuitiva sopraffina.
Una magica forma pensiero quella della gentilezza, allora? Probabilmente sì: il gentile è un acceso leader sotto la fertile cenere della gratitudine. Nello specifico, si parla di una persona ego-sintonica, ovvero altamente compensata tra le differenti pulsioni esterne e interne.
È da questo bilanciamento, definito dagli antichi come Tao, che nasce la naturale predisposizione del gentile a trovare la via per tutto il gruppo di lavoro.
Il gentile è in luce quanto in ombra, ovvero, è inconsapevolmente consapevole della propria forza così da non sovrastare gli altri mentre evita di patire il giudizio, fonte di reazione inesauribile.

Pertanto, la Kindness è realmente il processo che fa trarre forza dalla propria debolezza, trasformando chi la pratica in quella canna pensante di cui parlava Pascal! Un canone davvero quello della kindness, un metodo naturale, a cui tutti dovrebbero appellarsi per facilitare il lavoro e la vita fino a raggiungere il benessere comune.

L’AUTORE

Fino a 5 anni fa, Dario Ramerini - che vuol dire “colui che mantiene l’armonia” - creava solitari da matrimonio con l’intenzione di dare valore alla promessa rendendo l’anello nuziale un simbolo di bellezza e di amore puro. Poi ha deciso di dedicare la sua vita nel vedere la luce vivendo la kindness. È così che nel 2015 si è rimesso a studiare, facendo emergere alcune sue potenzialità inespresse. Da allora è stato chiamato a scrivere il suo primo racconto e così, piano piano, è iniziata la sua carriera di autore. Dalla sua esperienza professionale che l’ha portato a tenere training specializzati in Russia, Romania, Polonia e Germania ha pubblicato insieme a Fabio Zancanella “Il Cerimoniale della vendita”, un metodo dove fare performance è la conseguenza dello stare bene trasformando i venditori da addetti ai lavori in addetti ai valori. La resilienza sviluppata attraverso “l’occupati di te” è il cuore della formazione del Cerimoniale. Nel 2020 è stato nuovamente chiamato a scrivere. I frutti del suo pensiero e del suo lavoro arriveranno quest’anno.


[1] Visibilia ex invisibilibus è un concetto di Elio D’Anna. (Fonte elio-danna.com)
[2] Kind: corrisponde a desinenze di aggettivi come Goth -kunds, antico germanico -kund. Anche in inglese come suffisso (mankind – umanità).  Confronta anche godcund "divino". (Fonte etymonline.com)

Sophie Her

French living in Italy, I believe in alternative ways to do business!I operate in Editorial and Corporate Communication fields with a positive organizational and CSR focus.

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